Piacenza

Architettura e storia urbana

Durante il principato borbonico si possono verificare i risultati della politica edilizia del periodo farnesiano resi possibili dall’istituzione della congregazione di politica et ornamento (1545). Dopo aver avviato e gestito il processo di mutamento tipologico della città, nella considerazione della strada a cortina continua come asse portante della nuova concezione del decoro urbano, prosegue la concessione di chiusura di cantoni muti ed eliminazione dei guasti. Il risultato è verificabile grazie all’indagine su patrimonio immobiliare urbano commissionata dalla congregazione degli Alloggi militari durante la breve parentesi del governo austriaco (BCPc, Ms Pallastrelli n. 263, Indice di tutte le paroc­chie e di tutte le case appartenenti alle rispettive paroc­chie di questa città di Piacenza, 1737).  La popolazione residente in città è registrata in 28.144 individui di cui 686 risulta­no a vario titolo risiedere nei 21 complessi conventuali maschili ad esclusione di quello di S. Sisto; mentre manca l'indicazione relativa ai conventi femminili per un totale di 3.444 edifici. L’Indice permette di ricostruire la città come somma di edifici descritti, per vicinanze, nella loro articolazione spaziale, funzionale e sotto l'aspetto del titolo di godimento. La pro­prietà immobiliare, che risulta nelle mani del 30% della popolazione (pari a 1.021 proprietari), è costi­tuita per il 5% da quella ecclesiastica e dal 9% da quella nobiliare. Si tratta, in questo caso, di 118 nuclei familiari, corrispondenti al numero di edifici abitati dai proprietari stessi, ai quali bisogna aggiungere i 4 che godono solo in parte del proprio edificio e i 27 documentati da contratti di affitto con altri nobili (15 casi) e con altri proprietari (12 casi). Si tratterebbe, quindi, di 149 famiglie appartenenti alla nobiltà titolata che documentano un incremento rispetto alle 123 elencate dalla planimetria della città affrescata nel Vescovado che non distingue il titolo di godimento dell'immobile. La pianta, databile al 1748 ca, permette di identificare le 123 residenze della nobiltà titolata. Ne risulta una logica insediativa che privilegia i margini del nucleo insediativo romano, confermandosi in continuità con la tipologia della domus ad atrio unifamiliare, e il tessuto insediativo della prima espansione medioevale in particolare lungo il percorso della via Francigena (le attuali via Campagna, via Taverna, via Garibaldi, via S. Antonino,via Scalabrini) e lungo i tratti iniziali di alcune direttrici radiali (le attuali via S. Franca, via Castello, via Roma) in seguito ad un significativo processo di accorpamento di unità edilizie a schiera.

Valeria Poli

Valeria Poli, La storia urbana di Piacenza. Le tipologie residenziali dal libero comune all’età postunitaria, Piacenza, Lir, 2017.

 

Piacenza, palazzo del Vescovado. Planimetria della città con indicati i palazzi dei nobili titolati, 1748 ca..

PATRIMONIO ARCHITETTONICO A PIACENZA

 IL PALAZZO

La ricchezza del patrimonio architettonico della città di Piacenza ha attirato l’attenzione della storiografia permet­tendo di qualificarla “una città di palazzi”. Si tratta del risultato della politica farnesiano-borbonica che assegna ben 103 titoli nobiliari. L’indagine condotta sul patrimonio immobiliare urbano, commissionata dalla congregazione degli Alloggi militari durante la breve parentesi del governo austriaco (BCPc, Ms Pallastrelli n. 263, Indice di tutte le paroc­chie e di tutte le case appartenenti alle rispettive paroc­chie di questa città di Piacenza, 1737), permette di identificare la diffusione della tipologia del palazzo che diviene lo specchio del percorso nella promozione sociale compiuto dal proprietario. Dalla ricostruzione dei caratteri tipologici, attraverso le varianti dei caratteri distributivi, emerge la possibilità di considerarlo un organismo complesso a livello di funzioni (di rappresentanza, di residenza e di servizio), ma anche dal punto di vista sociale. Parte integrante del nucleo familiare, unico o allargato, è la servitù che viene indicata, infatti, residente nel palazzo. Il palazzo nasce come accorpamento di più edifici per lo più a corte comprendendo anche i corpi di fabbrica che nel tempo avevano occupato lo spazio retrostante articolandosi in planimetrie a L o ad U. L'ingresso può essere centrale oppure eccentrico, rispetto alla corte principale, condi­zionando la presenza, al piano terreno, rispettivamente di due appartamenti o di uno solo. La destinazione d’uso dei locali al piano terreno è per i servizi e per residenze di rami familiari cadetti. Lo spazio di distribuzione è affidato al portico e al cortile completato dal giardino. I collegamenti verticali, risultato dell’accorpamento di differenti unità edilizie, possono essere diversificati a seconda delle funzioni degli spazi del piano superiore. Il percorso d’onore si avvale dello scalone che permette l’accesso alla galleria, spesso risultato del tamponamento della precedente loggia, e al salone d’onore a doppia altezza in posizione centrale rispetto all’ingresso. Gli spazi di rappresentanza, costituiti da salottini a tema, si concludono in cantonata con l’alcova. Lateralmente e al piano superiore si trovano invece gli appartamenti nobili per la residenza dei membri della famiglia principale.

Nel vano scale, al quale si affida spesso il compito di raccordare fabbriche differenti, si crea una orchestrazione prospettica che permette di identificare il ruolo assunto nel percorso d'onore. All'attività di Ferdinando Bibiena, rielaborata poi in sede locale, è ricon­ducibile l'utilizzo, avvalendosi della progettazione per angolo, di rampe di forme curvilinee o a diagonali ottenendo vere e proprie macchine teatrali. E' proprio il complesso del vano scale che risente dell'entrata in crisi della cultura sceno­grafica barocca trasformandosi, nel lessico di ascendenza morelliana, nuovamente a rampe parallele di collegamento a più livelli, ma anche nella soluzione a rampa unica divenendo occasione di esibizione di riferimenti formali neoclassici.

 

Pietro Perfetti, prospetti palazzi, incisione. Cristoforo Poggiali, Memorie storiche di Piacenza, Piacenza, Filippo G. Giacopazzi, 1757-1761.

 

Valeria Poli

Anna Maria Matteucci, Palazzi di Piacenza dal Barocco al Neoclassico, Torino, 1979.

  1. Poli,Urbanistica-storia urbana-architettura, inStoria di Piacenza: dai Farnese ai Borbone (1545-1802), Piacenza, Tipleco, 1999, (Tomo I), pp. 331-398, 2000 (Tomo II), pp. 925-1004.

Valeria Poli, La storia urbana di Piacenza. Le tipologie residenziali dal libero comune all’età postunitaria, Piacenza, Lir, 2017.

GLI EDIFICI RELIGIOSI

 

In età borbonica la politica riformatrice del ministro Du Tillot, dopo l’espulsione dei Gesuiti nel 1768, prosegue, tra 1769 e 1771, con un pacchetto legislativo per imporre la soppressione e la riorganizzazione patrimoniale degli enti di manomorta appartenenti al clero regolare e alle confraternite laiche. Tale progetto viene ereditato dal governo francese che, tra il 1805 e 1810, sopprime tutti gli ordini regolari. La cartografia urbana, precedente alle soppressioni, permette di quantificare i complessi religiosi, appartenenti al clero regolare e secolare ed identificare le logiche insediative. E’ possibile evidenziare una zona centrale caratterizzata da una presenza di edifici del clero secolare, occasionalmente alcune presenze di proprietà del clero regolare maschile; mentre le zone circostanti di espansione medioevale e di lottizzazione moderna, sono caratterizzate da una presenza preponderante delle proprietà di clero regolare, sia maschile che femminile, che arrivano ad occupare spesso interi isolati. La planimetria della città, del XVIII secolo, indica gli isolati attraverso colori differenti a seconda del tipo di proprietà: scuri gli isolati caratterizzati da sole abitazioni, giallo oro gli isolati caratterizzati da proprietà di ordini regolari maschili e azzurri quelli caratterizzati da proprietà di ordini regolari femminili; in rosso sono invece indicati gli edifici del clero secolare e in grigio gli oratori. Nel caso di edifici appartenenti a complessi del clero regolare con titolo parrocchiale la chiesa è infatti distinta dal colore rosso.

La consistenza numerica degli ordini religiosi, documentata dal rilevamento del patrimonio immobiliare urbano del 1737 (BCPc, Ms Pallastrelli n. 263, Indice di tutte le paroc­chie e di tutte le case appartenenti alle rispettive paroc­chie di questa città di Piacenza, 1737), era di 44 dei quali 22 maschili e 22 femminili. Ricordando che 6 edifici conventuali possiedono anche il titolo parrocchiale, si raggiunge la quota totale di 78 edifici religiosi (sia del clero regolare che secolare) ai quali si possono aggiungere 8 oratori per un totale di 86 edifici religiosi. Che non si tratti di una documentazione esaustiva, al fine di ricostruire l’entità delle presenze religiose, è nella mappa della città della metà del XVIII secolo, nella quale sono elencati 94 edifici: dei quali 41 con titolo parrocchiale (di cui 6 conventuali), 42 edifici di ordini religiosi (dei quali 20 femminili e 22 maschili) e 17 oratori.

Dal punto di vista architettonico il XVIII secolo testimonia un decremento delle edificazioni religiose rispetto al periodo farnesiano. Dal punto di vista architettonico le scelte stilistiche vedono la convivenza tra il barocco di ascendenza bibienesca, caratterizzato da pianta centrale e articolazione interno ed esterno, e il classicismo accademico di ascendenza vignolesca caratterizzato dalla pianta longitudinale a navata unica e facciata scandita dalla successione degli ordini.

 

 

ASPr, mappe e disegni, vol. 21, n. 31. Pianta della città e castello di Piacenza, metà del XVIII secolo

 

Valeria Poli

 

  1. Poli,Urbanistica-storia urbana-architettura, inStoria di Piacenza: dai Farnese ai Borbone (1545-1802), Piacenza, Tipleco, 1999, (Tomo I), pp. 331-398, 2000 (Tomo II), pp. 925-1004.

 

Valeria Poli, La città di Piacenza e l’architettura religiosa scomparsa, Piacenza, Lir edizioni, 2015.